IL CAPPELLO DI MODÌ

Indosso il cappello e chiudo gli occhi per vivere ancora quel momento. I profumi aristocratici che si mischiano agli effluvi della città, che muta la sua pelle da un giorno all’altro. Il rumore dei tacchi che veloci si allontanano confondendosi con quello delle ruote dei calessi, che cigolano sui ciottoli umidi di brina. Seppur tenue e fioca, la luce dell’alba riesce a penetrare le palpebre che si schiudono appena: dal basso del marciapiede dove sono seduto, in quell’istante a metà tra notte e giorno, riesco a scorgere gli ultimi scampoli del “demi monde”. Le urla e la musica che provenivano dai locali sembrano infatti risuonare soltanto nella mia memoria e la quotidianità, coi suoi ritmi e rituali, sta per spazzar via tutto quel seducente tourbillon di luci, fumo, alcool e cosce di ballerine. Eppure sento che il mio tempo parigino non è ancora finito, ma per non farmelo scappare via del tutto ho bisogno di qualcosa che mi aiuti a “salvarlo”. D’improvviso un suono riecheggia dal fondo della strada, si fa gradualmente più nitido e, sicuro di non sbagliare, volto lo sguardo per aggrapparmici con forza. Si tratta di parole che si levano distinte su ogni altro rumore e che magicamente solo io posso distinguere. Nessun altro passante infatti sembra essere attratto da quella voce maschile italiana che biascica versi poetici. “Eccomi, libero, solo, deciso a bere fradicio l’ultimo sorso!”….